I canini inclusi: dall’analisi del singolo caso alle possibili terapie

Introduzione

La diagnosi e la terapia dell’inclusione dei canini rappresentano da sempre un elemento probante la professionalità dell’odontostomatologo; frequente nel passato è stata l’estrazione di elementi dentari erotti in sede ectopica erroneamente reputati “sovraddenti” citando l’espressione comune, cagionante al paziente numerosi danni funzionali ed estetici. Il canino infatti presenta una corona priva di solchi e fossette che lo rende scarsamente cariorecettivo; la radice, oltre ad essere molto lunga, ha due depressioni di sviluppo che ne impediscono la rotazione costituendo un valido pilastro in ortodonzia e protesi e una guida in tutti i movimenti eccentrici della mandibola. Per quanto concerne l’estetica, il canino sostiene i tessuti molli e duri mediante la bozza strutturale omonima e regola l’entità del cosiddetto “corridoio cieco”, lo spazio tra le facce vestibolari dei posteriori e l’angolo delle commessure labiali, rispristinare il quale è imperativo in protesi poiché la sua assenza determina un sorriso “artificiale” anche se molti pazienti ortodontici ne richiedono l’eliminazione desiderando un sorriso più ampio nel quale siano visibili i primi molari.

Eziopatogenesi

L’inclusione dei canini è ascrivibile a cause sistemiche, strutturali e locali. Tra le prime si annoverano macrodonzia relativa (ereditaria, responsabile di disarmonia dento-alveolare), disordini endocrini da iporitardo nella crescita delle basi ossee e nell’eruzione delle dentizioni, o iperfunzione, ossificazione scheletrica precoce, disordini nella sequenza eruttiva e nella rizolisi inerenti tiroide, ipofisi, paratiroidi e ghiandole surrenali, patologie dismetaboliche quali ipovitaminosi e rachitismo, infezioni acquisite dalla madre durante la vita embrionale (rosolia, scarlattina) o attraversando il canale del parto, tipicamente lue congenita. I fattori strutturali comprendono condizioni fortemente predisponenti, se non vere e proprie cause di mancata eruzione, quali ipoplasia dell’osso basale, iperdivergenza grave, open bite scheletrico, numerose malformazioni congenite tra cui prevale la schisi labiale e palatale che può arrivare sino alla disgiunzione completa, cheilo-gnato-urano-stafilo-uvulo-schisi, nota ai più come “gola di lupo”, II Classe dentale molare omolaterale all’inclusione. Tuttavia, l’eziologia più frequente è la sommatoria di fattori locali: innanzitutto la sede di formazione del germe dentario (intorno ai cinque/sei mesi di vita intrauterina), molto alta caudalmente al pavimento orbitario, lateralmente all’apertura piriforme, in corrispondenza della parete anteriore del seno mascellare, da cui principia un decorso eruttivo lungo e complesso nel quale la corona è inizialmente mesioversa, contraendo rapporto di contiguità con la superficie distale della radice dell’incisivo laterale, da cui si discosta a circa tre anni mediante una rotazione in direzione alveolo-occlusale, che può mancare o avvenire in direzione anomala; inoltre, sono da considerare l’età, circa dieci/undici anni, in cui il canino fisiologicamente erompe e la notevole discrepanza tra la dimensione della corona del deciduo ed il suo omologo permanente.
Proseguendo la trattazione riguardo al canino deciduo, sia la perdita precoce che la persistenza oltre il limite cronologico di permuta possono ostacolare l’eruzione del permanente, così come altri impedimenti quali soprannumerari e neoformazioni sia odontogene che disembriogenetiche displastiche (soprattutto cisti, localizzate tra le radici di incisivi laterali e canini superiori) e neoplastiche, odontomi semplici, composti e complessi. Un argomento sul quale si discute tuttora è l’opportunità di considerare le cisti follicolari causa o degenerazione displastica della prolungata permanenza nello spessore dei mascellari. Ponendo l’attenzione sulla prospicienza, la statistica mostra un’associazione tra l’inclusione palatale, circa quattro volte più frequente, ed altri disordini dentari a carattere ereditario (ipotrusione dei molari decidui, agenesia o distoversione del germe dei secondi premolari inferiori), mentre quella vestibolare è solitamente secondaria alla mera mancanza di spazio in arcata.

Diagnosi

Posta a circa dieci/undici anni l’età in cui fisiologicamente il canino compare in arcata, appare di primaria importanza stabilire quando definirlo incluso seguendo criteri basati sull’evidenza scientifica: un elemento dentario con apice beante e legamento parodontale troficamente attivo (la cui mancata eruzione è sovente ascrivibile ad ostacoli meccanici) si definisce ritenuto; in assenza di tali requisiti è corretto considerarlo incluso. Oltre a queste condizioni, in letteratura si è recentemente affermato il concetto di malposizione o dislocamento, ossia una localizzazione intraossea anomala nel decorso eruttivo rilevata prima dell’età fisiologica di eruzione. Proprio il lungo tragitto per raggiungere l’arcata è implicato, con un modello di ereditarietà poligenica non ancora del tutto chiarito, nella trasposizione del canino, più frequentemente mascellare che scambia la propria posizione sovente con il primo premolare o con l’incisivo laterale. Peck riporta cinque possibilità di trasposizione nel mascellare superiore e due nella mandibola, distinguendo la trasposizione completa o reale che coinvolge corona e radice da quella parziale o incompleta, in cui l’apice del canino è in posizione corretta. Questa anomalia, spesso unilaterale sinistra e prevalente nel sesso femminile, si presenta generalmente associata ad incisivi laterali agenesici o conoidi, permuta precoce o mancata rizolisi del canino deciduo, malposizione del primo premolare. Il clinico si trova a dover scegliere tra differenti strategie terapeutiche: allineare gli elementi dentari in posizione trasposta con successiva odontoplastica oppure riposizionarli correttamente gestendo con estremo scrupolo i movimenti di distalizzazione del premolare e mesializzazione del laterale ed il torque del canino al fine di non provocare rizolisi o danni parodontali iatrogeni. Un’eventualità clinica analoga alla trasposizione è la mesializzazione dei canini concomitante ad agenesia dei laterali. Una peculiarità del canino inferiore è la trasmigrazione, malposizione con attraversamento della linea mediana pur mantenendo l’innervazione dall’emisoma di provenienza; riguardo l’eziologia non vi è unanimità, tuttavia la maggiore incidenza della mandibola viene attribuita al rapporto di contiguità che gli apici degli incisivi centrali superiori contraggono con il pavimento delle fosse nasali. Nella pratica clinica è necessario seguire un protocollo standardizzato per intercettare precocemente i canini dislocati o il cui tragitto presenta ostacoli: si parte dall’anamnesi.
Giovani pazienti con diatesi familiare per l’inclusione dei canini e/o la tendenza alla formazione di elementi dentari soprannumerari andrebbero sottoposti ad un esame radiografico mediante ortopantomografia all’età di otto anni per rilevare un eventuale dislocamento. Nel contesto dell’esame obiettivo endorale particolare attenzione è rivolta all’ispezione degli incisivi laterali; agenesia, morfologia conoide o distoversione sono segni per cui bisogna approfondire il caso mediante ortopantomografia; un articolo scientifico esorta inoltre ad esaminare la radice in fieri del primo premolare ipotizzando che eventuali anomalie nella direzione siano provocate dalla ritenzione del canino adiacente e non ne siano la causa, come si sarebbe propensi a reputare per via della sequenza eruttiva. Rimanendo nell’ambito dell’esame clinico, se l’inclusione è monolaterale (statisticamente più ricorrente) la persistenza del deciduo oltre il limite fisiologico, a causa della già enunciata marcata discrepanza tra le corone riguardo all’omologo permanente, comporta deviazione della linea mediana controlaterale all’elemento impattato; la palpazione per individuare il dislocamento palatale del canino superiore assume significato diagnostico se effettuata ad almeno dieci anni di età.
L’autore reputa l’impiego in questa problematica clinica di tomografie computerizzate e teleradiografie non indispensabile e addirittura nocivo provocando cospicuo irraggiamento al paziente.

Terapie

L’approccio terapeutico, la durata del trattamento e la prognosi hanno un denominatore comune: l’età del paziente. Intercettare precocemente una malposizione così come estrarre un ostacolo presente nel percorso fisiologico, quale un soprannumerario o una neoformazione odontogena, quando il canino è ancora ritenuto può significare risolvere il caso mediante il solo ottenere spazio in arcata.
Per tale fine è indicata l’avulsione del deciduo omologo associata o meno alla distalizzazione dei posteriori perseguita mediante terapia edgewise o trazione extraorale cervicale, che fornisce risultati lievemente migliori. Un’altra possibilità per favorire l’eruzione spontanea è l’espansione ortopedica rapida dell’arcata alveolo-dentaria per quanto concerne il mascellare superiore, la cui contrazione trasversale può favorire l’inclusione del canino; lo spazio ottenuto è successivamente gestito applicando un dispositivo di mantenimento quale arco palatale, bottone di Nance, barra transpalatale o quad-helix.
Tuttavia, se in sei mesi non si evidenziano segni di progressione verso la cresta alveolare o il paziente giunge all’osservazione del clinico in età superiore ai dodici anni, all’ortodonzia vanno associate altre strategie per il recupero dell’elemento, tra cui la più nota è la disinclusione chirurgico-ortodontica.
Il protocollo scientifico prevede quattro fasi: l’allineamento ortognatodontico degli elementi dentari, creazione di spazio per la futura sede del canino permanente, incisione chirurgica e applicazione dei presidi di trazione, contenzione e stabilizzazione dell’occlusione. Dopo aver creato spazio in arcata, si incide, si scolla un lembo muco-periosteo e si realizza una breccia ossea al fine di esporre una porzione della corona sufficiente all’applicazione di un dispositivo ortodontico (sovente bottoni di ancoraggio o retine metalliche) a cui applicare presidi di trazione esercitando forze comprese tra 50 ed 80 grammi, poiché l’azione estrusiva in un tipico sistema cantilever può realizzare effetti intrusivi, rotazioni e versioni dei molari di ancoraggio. Al fine di evitare tali complicanze il presidio di trazione deve essere sufficientemente rigido ed esteso, elastico, flessibile. La scelta del lembo, a spessore totale, è secondaria alla posizione dell’elemento incluso nella compagine ossea dei mascellari.
Nei casi, alquanto rari di prospicienza vestibolare si può optare per una tecnica aperta scolpendo un lembo trapezoidale paramarginale, detto di Luebke-Ochsenbein, a riposizionamento apicale se il canino è prossimo alla cresta alveolare, mentre in presenza di inclusione apicale alla linea muco-gengivale si realizza un’opercolectomia, escissione di tessuto fibro-mucoso ed eventualmente osseo. Decisamente da preferirsi un approccio chiuso con eruzione infracrestale guidata che simula il decorso naturale con comparsa in arcata dell’elemento circondato da un’adeguata banda cheratinizzata, garantendo risultati apprezzabili in termini di funzione ed estetica: in assenza del deciduo omologo si incide e scolla a spessore totale un lembo che previe osteotomia, esposizione di almeno due terzi della corona, applicazione dei presidi di ancoraggio e trazione di prova, viene suturato nella sede originale; se al contrario il canino deciduo è ancora presente, si predilige la tecnica a tunnel con incisione intrasulculare estesa agli elementi contigui con tagli di rilasciamento verticali per agevolare lo scollamento del lembo, estrazione del deciduo e realizzazione di un tunnel nel quale si impegna la catenella collegata al bottone ortodontico; anche in questo caso il lembo è riposizionato e suturato.
Nell’eseguire l’esposizione chirurgica della corona di un canino in inclusione ossea è necessario non ledere con la fresa il legamento alveolo-dentale in quanto causa di anchilosi dell’elemento stesso, complicanza che può verificarsi anche nell’allineamento preventivo e riposizionamento forzato. Quando l’impattamento è palatale, la fibromucosa garantisce un buon sigillo dento-parodontale, dunque la scelta della tecnica chirurgica è dettata principalmente dalla profondità intesa in senso vestibolo-palatale. In analogia alla prospicienza vestibolare si può trazionare a cielo aperto o chiuso: l’opercolizzazione presenta il vantaggio della visibilità ma richiede l’applicazione di un impacco chirurgico e la guarigione dei tessuti molli ha un esito meno predicibile; la tecnica a tunnel invece garantisce un buon risultato in termini di salute parodontale ma contempla il rischio di debonding. A tale proposito alcuni autori propongono la tecnica della doppia trazione nel metodo dell’eruzione a cielo coperto ossia il posizionamento di due attacchi, a ciascuno dei quali è annessa una legatura metallica con diversi occhielli, sull’elemento incluso al fine di ridurre il rischio di altri interventi chirurgici. Nei casi di spessore osseo considerevole che separa il canino dalla superficie, è consigliabile ricorrere alla piezochirurgia, mentre un’inclusione palatale mucosa oppure osteo-mucosa superficiale va gestita mediante elettrobisturi o laser per evitare sanguinamento. Il bottone ortodontico è posizionato al centro della corona clinica, quando possibile senza effettuare un’osteotomia eccessiva, altrimenti lo si colloca in una regione esposta dello smalto in maniera tale da discostare il canino dalla radice dell’incisivo laterale, in particolar modo quando l’angolo formato tra l’asse maggiore del canino ed il piano occlusale è minore di circa 30/40 gradi.
La “Ballista Spring”, realizzata nel 1979 dal dottor Jacoby e tuttora in voga, rappresenta un sistema costituito da una molla con filo in acciaio che incamera energia attraverso la piega effettuata lungo il suo asse; la parte terminale è rivolta in basso verticalmente e presenta una piccola ansa nella quale viene inserita una legatura elastomerica. L’elasticità della molla esercita un effetto estrusivo sul canino incluso allontanandolo dalle radici degli elementi adiacenti; agendo sulla parte verticale si può modulare la direzione di eruzione: allungandola si aggiunge una forza diretta verso il centro del palato e viceversa. Il tipping dei molari e l’intrusione dei primi premolari ascrivibili a forze di reazione possono essere contrastati solidarizzando tali elementi con una barra palatale saldata alle bande in acciaio. Le quattro bande, a cui viene inoltre saldato palatalmente un arco tondo transpalatale, vengono cementate come singola unità di ancoraggio; la barra, che fornisce appunto l’ancoraggio per la trazione, è posta tra i molari al fine di non interferire nell’eruzione guidata.
Interessante la tecnica alternativa introdotta dal dottor Hauser, in cui si utilizza un filo australiano piegato a formare due elici a mo’ di stop contro i bracket dei denti adiacenti, mantenendo così lo spazio per il canino. Un terzo elice incisale aumenta la resilienza del sistema ed ancora la legatura in acciaio intorno all’attacco del canino. L’arco australiano con elici è inserito negli slots dei bracket ed attivato passando la legatura d’acciaio attraverso l’elice incisale; variando la posizione trasversale del medesimo si direziona il vettore forza.
L’autore adotta i seguenti protocolli clinici, confortati dalla maggiore evidenza scientifica di risultati funzionalmente ed esteticamente mirabili: ancoraggio massimo mediante arco rigido transpalatale con tubi rettangolari su cui si applicano leve a bandiera con filo rettangolare solidarizzate a bande cementate sui primi molari per canini in inclusione mucosa; per elementi inclusi più profondamente o molto inclinati rispetto al piano occlusale all’arco ivi descritto si associano bande anche sui primi premolari collegate alle prime tramite filo saldato, altrimenti si opta per la terapia ortopedica con espansore rapido su cui in caso di necessità si saldano dei ganci appositi per la trazione dei canini. Si consiglia, nell’applicare il bottone, di effettuare un’adeguata emostasi pericoronale associata ad aspirazione; controproducente è invece il soffiare aria, comportando la microdiffusione dei fluidi orali.
L’autore, in linea con le recenti ricerche scientifiche, ritiene d’uopo proteggere i tessuti duri e molli, questi ultimi ancora più suscettibili alla tossicità dell’acido ortofosforico e del bis-GMA, applicando cera d’osso, miscela biocompatibile sterile non riassorbibile costituita da cera d’api e paraffine, che inoltre, agendo come una barriera meccanica, consente di arginare l’emorragia. Prima di suturare è auspicabile esercitare una trazione di prova, al fine di evitare tensioni eccessive causa di debonding o nell’ipotesi peggiore rottura della legatura stessa.
Appare qui opportuno citare altri trattamenti di chirurgia conservativa che il clinico deve conoscere ed applicare prima di decretare l’impossibilità del recupero in arcata: alveolectomia conduttrice, allineamento preventivo, riposizionamento forzato e trapianto. Nell’alveolectomia conduttrice si asporta il tessuto fibro-mucoso ed osseo di ostacolo alla fisiologica eruzione del canino; può essere associata a disinclusione chirurgico-ortodontica ed avulsione di soprannumerari, neoformazioni odontogene o decidui anchilotici. L’allineamento preventivo, idoneo nei casi in cui l’anomalia di inclinazione è lieve, si ottiene tramite lussazione del canino prendendo come fulcro l’apice; il riposizionamento forzato ha carattere più traumatico e mobilizza la radice nella sua interezza. Il trapianto, metodica piuttosto frequente nel passato, consta dell’inserimento dell’elemento dentario estratto in un neoalveolo chirurgico stabilizzato da una contenzione mediante apparecchio ortodontico fisso, secondo la tecnica multibande, per un periodo massimo di quattro settimane onde evitare lesioni parodontali irreversibili; la prognosi è influenzata dal tempo, minore possibile, in cui il canino si trova al di fuori del cavo orale e dalla limitata, corretta manipolazione del medesimo, ma comporta il rischio di rizolisi secondaria dopo il secondo/terzo anno dal riposizionamento.

Costantino Santacroce

Doctor Os Giugno 2014 XXV (6)