Dieta incide sulle malocclusioni: verso ossa mascellari più piccole
L’affollamento dentale, o discrepanza dento-alveolare, soprattutto del settore antero-inferiore è la malocclusione più frequente. Le statistiche lo vedono costantemente ai primi posti in tutto il mondo: dal Marocco alla Lituania, dal Brasile all’Iran gli incisivi in cerca di spazio sono un reperto quotidiano nella pratica ortodontica. Un sondaggio eseguito in Italia da Key-Stone nel 2021 lo ha riscontrato nel 60% di un campione di 2828 adulti.
Tra le cause di questo fenomeno compaiono fattori di ogni categoria tra quelli genetici, ambientali, evoluzionistici. In particolare, tra quelli ambientali viene data molta importanza alla dieta che, nel mondo urbanizzato, è da molto tempo povera di alimenti duri e ricca di cibi raffinati e precotti. Se si confrontano il grado di usura dei denti di epoca antica o medievale con quelli di età successive alla rivoluzione industriale, la differente usura dei tessuti duri è tanto evidente da non richiedere competenze specialistiche; inoltre, la disponibilità di cibi sempre meno impegnativi ha modificato anche la dinamica masticatoria, riducendo i movimenti laterali a vantaggio di quelli verticali.
A questo proposito sarebbe interessante studiare l’influenza di fattori ambientali e dieta sullo sviluppo delle arcate dentali in soggetti senza familiarità per malocclusioni come i “nuovi italiani”, i bambini di origine extraeuropea nati e cresciuti in Italia. L’autore di questo articolo, infatti, ha più volte osservato casi di affollamento dentale in bambini di famiglie senegalesi, peruviane o cingalesi i cui genitori presentavano arcate perfette. In particolare, soggetti di questo tipo presentano sempre più spesso arcate di diametro e lunghezza insufficiente, con perdita precoce degli incisivi laterali decidui superiori o dei canini inferiori decidui, eventi che preludono a eruzione ectopica o inclusione dei canini o dei secondi premolari permanenti. Un effetto simile fu osservato molti anni fa anche in una specie di scimmie sudamericane allevate con dieta morbida in cui, rispetto al gruppo controllo, si notavano più malposizioni dentali (rotazioni, affollamento) e arcate dentali più piccole; esperimenti successivi condotti su ratti e maiali hanno portato a risultati simili.
Verso mandibole “mini”
La tendenza evoluzionistica verso ossa mascellari più piccole è un altro fattore che viene spesso citato dai ricercatori che si occupano della discrepanza dentoalveolare. Un recente studio italiano ha confermato questa tendenza evidenziando che nella specie umana sta procedendo con una velocità inattesa rispetto ai modelli teorici elaborati sulla base delle ricerche paleoantropologiche che attribuiscono un ruolo preminente all’acquisizione della capacità di cuocere i cibi sul fuoco e alla scoperta dell’agricoltura.
Altri studi suggeriscono che buona parte delle malocclusioni, a partire dall’affollamento, derivino dalla distonia tra l’ambiente attuale e la struttura ossea e dentale originariamente prevista e idonea per un ambiente in cui la dieta era molto più usurante per i denti e impegnativa per ossa e muscoli.
Prevenire è meglio che curare
Per quanto ininfluente sullo stato di salute e sulla dinamica masticatoria, l’affollamento degli incisivi è, secondo alcuni autori, la malocclusione col massimo impatto sulla qualità della vita di relazione mentre l’aumento dell’overjet risulta essere al secondo posto come motivo di consultazione ortodontica. È nell’esperienza quotidiana di ogni ortodontista il paziente che vuole allineare gli incisivi, magari senza essere consapevole di avere un morso incrociato o un morso profondo; non a caso, i denti del sestante anteriore hanno assunto il soprannome di “social six”.
Nonostante l’eclatante progresso innescato dai mini-impianti ortodontici che permettono di recuperare spazio come nessun ortodontista avrebbe potuto immaginare prima, per l’affollamento si può ancora parlare di primato della prevenzione sulla cura. Evitare la perdita di spazio in dentatura mista o decidua significa evitare trattamenti più invasivi e più costosi in dentatura permanente.
Il piano di trattamento nei casi di affollamento dentale è argomento che ha impegnato generazioni di ortodontisti e che ha visto alternarsi metodi più o meno invasivi come le estrazioni seriali.
Per quanto riguarda la cosiddetta terapia intercettiva, vi sono diversi dispositivi applicabili sia in dentizione decidua sia in quella mista. Come per molte altre questioni cliniche, pure qui non si può sfuggire alla maledizione dell’incertezza, dei risultati poco significativi per deficit metodologici, delle ricerche mal confrontabili per le differenze nel protocollo seguito, dei campioni troppo piccoli o del tempo di osservazione non adeguatamente esteso. Per questo gli autori di una revisione Cochrane concludono scrivendo che vi sono evidenze con certezza molto bassa sull’efficacia dell’uso del lip-bumper in dentizione mista per prevenire l’affollamento dei denti permanenti. Lo stesso vale per la vecchia placca di Schwarz, come pure per il ben più giovane filo in nickel-titanio. Purtroppo non esistono ricerche conclusive nemmeno per l’arcata superiore, dove si possono impiegare l’arco palatino, il bottone di Nance e le placche rimovibili.
Fatte queste premesse, dagli studi risulta che sia il lip-bumper sia l’arco linguale aumenterebbero di circa 3 mm la lunghezza dell’arcata, agendo sui primi molari (più precisamente bloccandone la mesializzazione e inclinandoli distalmente) e sugli incisivi (favorendone l’inclinazione vestibolare). Il momento più adatto per applicare questi apparecchi spesso non coincide con quello più favorevole per applicare le bande ortodontiche, specialmente nell’arcata inferiore dove la corona clinica del primo molare permanente o, più raramente, quella del secondo deciduo può non avere l’altezza necessaria. In tali casi sono molto utili le bande specifiche per i molari decidui.
Cosma Capobianco
Odontoiatra
Italian Dental Journal